Le metamorfosi dei campioni

22 Febbraio 2018

L’oro olimpico in superG della snowboarder Ledecka offre lo spunto per una carrellata sugli atleti più eclettici della storia: da Eric Liddell a Harrison Dillard, fino a Kip Keino

di Giorgio Cimbrico

Katie Ledecky ha scritto - via telefonino, ovviamente  - a Ester Ledecka: “Saremo mica parenti?”. Di comune tra la regina del nuoto e la clamorosa campionessa olimpica di superG, la snowboarder che si è trovata a perfetto agio anche sugli sci, c’è l’origine ceka: Jaromir, nonno paterno di Katie, emigrò in America nel ’47; Jan Kaplac, nonno materno di Ester, mise al collo bronzo e argento olimpici a Innsbruck e a Grenoble giocando in una formidabile Cecoslovacchia di hockey su ghiaccio, quella che dava filo da torcere ai sovietici.

Nuoto, hockey, sci alpino, snowboard. A questo punto, in questo caleidoscopio, non può che fare il suo ingresso in scena l’atletica che di personaggi capaci di offrirsi in sorprendenti formati ha una solida tradizione. Andando in ordine cronologico, il primo è Eric Liddell, lo scozzese volante che aveva visto la luce in Cina (dove sarebbe morto nel ’45, in un campo di concentramento giapponese), l’ala dei Blues di rugby, passato all’atletica, specialista delle 100 e delle 220 yards, capace di dominare, a livello regionale, anche il quarto di miglio, ma non specialista in senso stretto della velocità prolungata.

Narra la storia - e, in parallelo, un magnifico film, Momenti di Gloria - che Eric rinunciò ai 100 perché si correvano di domenica. In realtà, anche quasi cent’anni fa, il programma delle gara era già noto almeno sei mesi prima e che Liddell non sarebbe sceso in pista i vertici della spedizione britannica ai Giochi di Parigi lo sapevano benissimo: quel giorno Eric era reperibile nella parigina Chiesa di Scozia dove predicava. Terzo nei 200, si mise alla prova nei 400, una distanza che non lo aveva mai visto scalfire i 49”0. Progredì di turno in turno sino al 47”6 vincente della finale che, nella progressione dei record mondiali, continua ad apparire sebbene gli americani Ted Meredith e Henry Dismond avessero corso in 47”2/5 le 440 yards otto anni prima.

Più o meno un quarto di secolo dopo, a Londra ’48, un miracolo venne offerto da Harrison Dillard, che oggi marcia gagliardo verso i 95 anni. Dillard era un prodigio sugli ostacoli e aveva abbattuto il mostruoso record, 13”7, che il bel Forrest Towns, dopo i Giochi di Berlino, aveva regalato al pubblico del Bislett di Oslo.

“Macché record del mondo, c’erano nove ostacoli”, scherzarono gli amici e Forrest, per un po’, ci rimase male. Tra il ’47 e il ’48 Harrison aveva vinto 82 gare di fila prima che la catena si spezzasse a Milwaukee, ai campionati dell’Associazione Atletica: battuto da Barney Ewell nei 100 e da Bill Porter nei 110. Alle selezioni olimpiche di Evanston, Illinois, gli andò anche peggio: fuori alla settima barriera. Per fortuna aveva rimediato il terzo posto nei 100 dietro Mel Patton e Ewell. A Wembley, il 31 luglio, si trovò ad affrontare i due compagni di squadra, il panamense Lloyd LaBeach, lo scozzese Alastair McCorquodale e il trinidegno, sotto bandiera britannica, Emmanuel McDonald Bailey. Li infilzò tutti, vincendo in 10”3 ed eguagliando il record olimpico di Jesse Owens, l’ultimo campione prima che la guerra interrompesse i Giochi per dodici anni. Owens era stato la sua ispirazione: quando aveva 13 anni Harrison aveva assistito a Cleveland alla parata in omaggio all’eroe di Berlino. Dillard conquistò anche l’oro nella 4x100 e quattro anni dopo diventò campione nella sua “vera” specialità.

Il tempo scorre e continua a concedere variazioni sul tema. Nel ’72, all’Olimpiade di Monaco di Baviera, Kip Keino, detto King, campione a Messico dei 1500 dopo aver spietatamente domato Jim Ryun, decide di occupare la prima parte della parentesi dedicata all’atletica dedicandosi alle siepi. Esperienza, quasi zero; dimestichezza sulle barriere, “non buona, supero come capita”, parole sue. Vince davanti al fido scudiero Ben Jipcho e un vantaggio, senza dubbio, gli arriva dall’eliminazione in batteria dello svedese Anders Garderud che subito dopo i Giochi avrebbe portato il record del mondo a 8’20”8. Ma pensando ai finali di cui era capace King, lo scandinavo non avrebbe avuto scampo. L’escursione sulle siepi si rivelò un’eccellente scelta: sei giorni dopo, Keino avrebbe ceduto la corona dei 1500 al finlandese Pekka Vasala in fondo a un indimenticabile testa a testa, a una sinfonia di eleganti falcate.

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Eric Liddell


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